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Uno dei quindici allora, gonfio e rosso come un tacchino, si affacciò al balcone e, tra i lumi sorretti da due camerieri, arringò con impeto la folla.
Nessuno badò allo scompiglio delle povere nottole del viale che, abbarbagliate, piombavan dall’alto a strisciar sulle teste dei dimostranti, quindi, al clamore, al battìo delle mani, si risollevavano disperatamente, lanciando acutissimi stridi, come per chiedere ajuto e vendetta a le stelle che sfavillavano ilari in cielo. L’oratore improvvisato diceva che l’elezione di Capolino era un avvenimento dei più memorabili della storia italiana contemporanea; ma nessuno certamente avrà potuto levar dal capo a quelle nottole, che invece tutta la città, quella sera, si fosse raccolta soltanto per dare a loro una immeritatissima guerra.
Arringava ancora quell’oratore, quando Aurelio Costa su un sauro del Salvo, sellato in fretta in furia, parti di galoppo per Colimbètra.
Giù, confuso ne la folla, era il Pigna, arrivato in coda alla dimostrazione, espurgato, smaltito, per così dire, da essa con molta violenza di conati lungo tutto il percorso. Prepotenza! Sopraffazione! Egli andava pe’ fatti suoi, stava a traversar la via Atenea, quando la folla gli era venuta addosso. Non aveva fatto in tempo a ritrarsi, e allora quelli che stavano alla fronte lo avevano strappato indietro per passare, e così la fiumana se l’era ingojato. Sguizzare, con quelle gambe e quel groppone, non gli era stato possibile; furibondo, urlando, s’era messo a tirare spinte da tutte le parti e pugni e calci e gomitate, per farsi un po’ di largo e uscirne; ma quelli per il gusto di portarselo via con sè come in ostaggio, gli s’eran pigiati con furia addosso, gridando: “Ecco Pigna! c’è Pigna! viva Pigna! abbasso Propaganda! no;