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cui s’esponeva a quella lotta, e le aveva dato a intendere invece ch’era per migliorare la sua condizione, ponendosi — da deputato — più in vista. E nelle prime lettere le aveva lasciato sperare non improbabile la vittoria; poi man mano l’aveva messa in dubbio; le aveva scritto in fine che gli premeva ormai soltanto di ritornar presto a lei. Andava lui stesso a impostare quelle lettere, mentre per tutte le altre si serviva del nipote. Eppure sapeva che questi, il giorno appresso, sarebbe partito con lui per intraprendere a Roma gli studii universitarii e avrebbe abitato in casa sua e veduto, dunque, e saputo tutto. Ma voleva, finchè era lì, serbare il segreto. Quel giovanotto ispido e angoloso non era fatto certamente per attirar la confidenza d’alcuno. E Roberto soffriva al pensiero di condurlo seco, di fargli conoscere e di far quindi conoscere per mezzo di lui alla madre e a la sorella la vita ch’egli viveva a Roma. Ma come esimersi?

Donna Caterina, intanto, domandava a Mauro notizie del fratello Cosmo, “di quel matto„, e di donna Sara Alàimo.

— Non me ne parlate, per carità! — esclamò Mauro — Vado a Roma, vi dico, e non so altro, non voglio saper altro in questo momento!

— Caro Mauro mio, — gli rispose allora donna Caterina, sorridendo amaramente, — se è così, chiudi gli occhi, turati bene gli orecchi e ritornatene subito subito in campagna: segui il consiglio mio!