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— Povero Giacinto! — sospirò il Tricona, scrollando il capo.
— C’era con noi Vincenzo Guarnotta di Siculiana, — seguitò il Sala.
— Ah, Vincenzo! — disse Roberto Auriti. — Che ne è?
— Morto, — rispose il Sala. — Sarà nove o dieci anni. Era venuto a Girgenti per affari e alloggiava nel convento di Sant’Anna, com’usava allora. Adesso, neanche il convento c’è più! Era una nottata da lupi: vento, lampi, tuoni e acqua, acqua che il tetto pareva ne dovesse subissare. Tanto che Giacinto Lumìa alla fine propose a tutti di rimanere a dormire in casa sua. Ci saremmo accomodati alla meglio. Gli altri, scapoli, e il Guarnotta, forestiere, accettarono l’invito; io, nonostante le preghiere insistenti, volli andarmene per non tenere in pensiero mia madre, sant’anima, e mia moglie. Prima d’andarmene, il Guarnotta, sapendo che per arrivare a casa dovevo passare per lo stretto di Sant’Anna, mi pregò di bussare alla porta del convento per avvertire il frate portinajo ch’egli quella notte avrebbe dormito fuori. Glielo promisi e andai. Vi assicuro che, appena su la via, mi pentii di non avere accettato l’ospitalità del Lumìa. Che vento! portava via! frustava la pioggia, densa come piombo; e freddo e bujo, un bujo che s’affettava, dopo gli sprazzi paurosi dei lampi. Tuttavia, passando per lo stretto di Sant’Anna, mi ricordai di quel che m’aveva detto il Guarnotta e mi fermai a picchiare alla porta del convento. Picchia e ripicchia: niente! non mi sentiva nessuno! Per miracolo non buttai la porta a terra. Stavo per andarmene, su le furie, quando sentii schiudere una finestra ferrata in alto; e un vocione: — “Chi è là?„ — "Sala, dico, —