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— Nociarè, non te n’avere a male! Mondaccio laido è questo, d’ingrati. Marinai, piedi piatti.... Oh, e chiudi il paracqua, Luca! Dio ci manda l’acqua, e non te ne vuoi profittare? Laviamoci la facciuccia, così....
E levò la faccia fangosa verso il cielo. Spruzzolava ancora dalle nuvole, che s’imporporavano negli orli frastagliati, correndo incontro al sole che stava per levarsi, un’acquerugiola gelida e pungente.
— Che son aghi? — gridò, sbruffando come un cavallo, squassando la testa e buttandosi apposta addosso al Pigna.
Sozzo com’era già, da capo a piedi, e tutto fradicio di pioggia, si sentiva ormai libero da ogni angustia, di guardarsi dall’acqua e dalla zàcchera, e provava la voluttà, sguazzando nel fango senza più impaccio nè ritegno, di poter insozzarne gli altri impunemente.
— Scànsati! — gli gridò il Pigna. — Chi ti cerca? chi ti vuole? chi ti ha dato mai tanta confidenza?
Il Préola, senza scomporsi, gli rispose:
— Quanto mi piaci arrabbiato! Creta madre, caro mio, creta madre! Te ne volevo attaccare un po’.... Sigillo naturale! Mi scansi? Poi ti lagni degli altri, che sono ingrati.
— Ci vuole una faccia.... — brontolò il Pigna, rivolto al Lizio.
Ma questi andava chiuso in sè, non curante e accigliato. Diede una spallata, come per dire che non voleva essere frastornato da’ suoi pensieri, e avanti.
Il Préola li seguì un pezzo in silenzio, un po’ discosto, guardando ora l’uno ora l’altro.
Aveva nelle viscere una smania vorace, di fare