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a padiglione si gonfiava a tratti come un pallone, o un lembo del drappo damascato sbatteva insolentemente contro le bacchette della ringhiera nascosta.
Questo battìo distrasse alla fine l’attenzione non molto intensa che donna Adelaide prestava all’orazioncina oramai troppo lunga e, come una nuvola portata dal vento offuscò a un tratto il sole, ella si chinò alquanto a sbirciare il cielo di sotto la tenda e non potè tenersi dal mormorare:
— Purchè non piova....
Queste tre parole, appena mormorate, ebbero un effetto disastroso, come se tutti irresistibilmente (tranne Monsignore, s’intende) scoprissero una relazione immediata tra la minaccia della pioggia e quel ponderoso e interminabile sermone.
Don Cosmo sbarrò gli occhi, stralunato; donna Nicoletta non potè frenare uno scatto di riso; don Flaminio s’accigliò; Monsignore s’interruppe si smarrì, disse:
— Speriamo di no, — e subito soggiunse — Conchiudo.
Conchiuse, naturalmente, con augurii e rallegramenti, e tutti si levarono con molto sollievo.
Donna Adelaide, sentendosi proprio soffocare sotto quel parato a padiglione, propose di scendere a passeggiare per il viale. Il Principe tornò a offrirle il braccio, Nicoletta scese con Dianella, e Monsignore, il Salvo, don Cosmo e il segretario tennero dietro.
Don Ippolito Laurentano si sentiva la lingua inaridita e legata, per la lotta crudele che avveniva in lui tra il sentimento cavalleresco, il quale lo spingeva a mostrarsi premuroso e cortese con la dama e il disinganno enorme, agghiacciante e la repulsione invincibile che i modi di lei, il tratto, i gesti la voce, il riso gli avevano subito ispirato; tra il