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— Ma che degnazione, grazie, grazie, proprio gentile. Vostra Eccellenza! — rispose donna Adelaide, entrando ne la villa a un invito del Principe.

Entrò Monsignore e poi donna Nicoletta e poi Dianella e il Salvo e il segretario del vescovo e anche don Cosmo: il Principe volle entrare per ultimo. Quando si fece nel terrazzo, sorprese i dolci occhi di Dianella che lo aspettavano, indagatori. Istintivamente rispose a quello sguardo con un lievissimo sorriso.

— Bell’uomo, no? — disse piano a Dianella Nicoletta Capolino. — Non ci sarà punto bisogno d’accorciargli la barba, come dice Adelaide.

— Accorciargli la barba? — domandò Dianella.

— Sì, — riprese l’altra. — Ci ha fatto tanto ridere in carrozza, con la paura della barba lunga del Principe.

— Che avete da dire voi due là? — saltò a domandare a questo punto donna Adelaide. — Ridete di noi? Ridono di me e di voi, caro Principe. Ragazzacce! Ma non c’è che fare: siamo qua per questo; oggi è la nostra giornata.... Come alla fiera! Flaminio, figlio mio, non mi mangiare con gli occhi. Fammi coraggio, piuttosto! Io ti dico di sì, sempre di sì.... Ma lasciami stare allegra! Dico sciocchezze, perchè sono commossa.... Andiamo, Nicoletta! Con licenza vostra, Principe, vado a salutare la mia povera cognata.

E andò, seguita dalla nipote e da Nicoletta.

Subito il Salvo, per rimediare all’impressione sgradevole di quella scappata de la sorella nell’animo del Principe, spiegò con aria misteriosa che la signora Capolino ignorava affatto che il marito forse in quel momento stesso si batteva e che lo credeva invece a Siculiana per il giro elettorale.