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torno.... E di là gli mandavano, sgomenti, certi acuti squittii, che volevano dire:

– Oh Dio, che ti fanno, vecchione, che ti fanno?

Mah! S’era da gran tempo addormentato, il vecchione, nella pace dei campi. Lontano dalla vita degli uomini e quasi abbandonato da essa, aveva da un pezzo cominciato a sentirsi, nel sogno, cosa della natura: le sue pietre, nel sogno, avevano cominciato a risentir la montagna nativa, da cui erano state cavate e intagliate; e l’umidore della terra profonda era salito e s’era diffuso nei muri, come la linfa nei rami degli alberi per le radici; e qua e là per le crepe erano spuntati ciuffi d’erba, e le tegole su s’eran vestite di musco. Il vecchio cascinone, dormendo, godeva di sentirsi così riprendere dalla terra, di sentire in sè la vita della montagna e delle piante, quasi la coscienza di esse, per cui ora intendeva meglio la voce dei venti, la voce del mare vicino, lo sfavillìo de le stelle lontane e la blanda carezza lunare.

Ma ecco, ora, lo destavano di nuovo gli uomini, lo condannavano a vedere e ad accogliere altre loro vane e strane vicende. E chi sa a quali avvenimenti avrebbe ancora assistito in que’ tardi anni!

Che bel tappeto nuovo fiammante su la vecchia scala rustica, con due stanghe verdi per ringhiera! che scorta di lauri e di bambù su pe’ gradini e poi sul pianerottolo! e che drappi damascati ai davanzali delle finestre e al terrazzo di levante per nascondere la ringhiera arrugginita! che tappeto anche lì, su quel terrazzo, e sedie di giunco e tavolini e vasi di fiori... Ora vi rizzavano una tenda a padiglione. Il ricevimento e la presentazione degli sposi avrebbero avuto luogo lì, poichè non s’era potuta strappare a Mauro Mortara la chiave del “camerone„.