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Nicoletta non volle sedere; girò un po’, dimenandosi capricciosamente, per l’ampia sala addobbata con sobria ricchezza.
Aurelio, rimasto in piedi, non sapeva se dovesse, o no, rimettersi a sedere; temeva di commettere un atto indelicato; ma, d’altra parte, era urtato dal pensiero che, per il capriccio di colei, dovesse star lì come un servitore in attesa. E come una padrona veramente ella era lì: ma a qual prezzo? Ed egli aveva sognato tant’anni di farla sua, quella donna! Era anche egli, lì, al servizio del Salvo, come lei, come Capolino, come tutti; ma se ella fosse stata sua moglie, il Salvo non avrebbe certamente osato neppur di pensare, che avrebbe potuto servirsene pe’ suoi senili allettamenti. Là, tra due vecchi si trovava ella ora, con la sua florida bellezza voluttuosa, contaminata. Ne godeva? Ostentava di fronte a lui quella sfacciata supremazia? Godeva di quel lusso? degli onori che le si rendevano per l’onor perduto? Ma sì! Anche deputato sarebbe stato tra breve suo marito.... Ed ella, moglie d’un deputato! Con lui, invece, che sarebbe stata, se pur fosse riuscita a vincere l’orrore — già! l’orrore! — d’unirsi a uno di così bassi natali? L’onestà, la gioventù, l’amore puro e santo? Ma valevan di più per lei le piume ondeggianti e il velo dell’ampio cappello!
Stanco e sdegnato, sedette.
— Oh bravo, sì, — esclamò allora Nicoletta, voltandosi a guardarlo. — Mi scusi tanto, se non glie l’ho detto.... Distratta, pensavo....
Si appressò; venne a porsi innanzi alla scrivania, di fronte a lui, con una mossa repentina, risoluta e provocante della persona.
— Lei ora starà qui, ingegnere?
— Forse.... Non so.... — le rispose egli, guardan-