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vania, a cui era seduto un giovino, intento a scrivere: Aurelio Costa.
— Domando scusa, se.... — cominciò a dire Nicoletta, guardando il Costa che si levava da sedere.
— Ma non lo dica! — la interruppe il Salvo, lisciandosi le basette, con un sorriso freddo, a cui lo sguardo lento degli occhi sotto le grosse pàlpebre dava un’espressione di lieve ironia. — Venga avanti.... stavo qui a chiacchierare col mio ingegnere.
Poi, notando l’impaccio di questo per la presenza della signora, aggiunse:
— Come! Voi non vi conoscete?
— Veramente, di nome sì, — rispose con una certa disinvoltura Nicoletta. — Credo non ci sia stata mai presentazione fra noi....
— Oh! e allora, — riprese il Salvo, — per la formalità: l’ingegnere Aurelio Costa, la signora Lellè Capolino-Spoto.
Aurelio Costa, con gli occhi bassi, senza scostarsi dalla scrivania, chinò lievemente il capo. Era ben messo, senz’ombra di ricercatezza, composto e altero nella maschia bellezza, cui l’insolito abito cittadino, di fresca fattura, faceva forse apparire un po’ rude.
— Sarà pronta Adelaide? — domandò Nicoletta al Salvo, dopo aver osservato il giovine e risposto con un lieve sorriso all’inchino sostenuto di lui.
— Ecco, un momento, — rispose il Salvo. — Segga, segga, donna Lellè. Io vado e torno. Credo che Adelaide sia pronta.
E s’avviò per uscire.
— Ma sarà meglio che venga su anch’io! — gli gridò dietro Nicoletta.
— No, perchè? — disse il Salvo, voltandosi su la soglia. — Viene giù subito Adelaide.
E uscì.