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metteva lì davanti, su la tavola, per illudersi: non poteva farne a meno! E quei due polli di cartone e un tozzo di pane (vero, ma duro per i suoi denti non veri) erano adesso per intere settimane tutto il suo pranzo giornaliero! Perchè Capolino non aveva voluto prenderlo con sè, e zio Salesio Marullo, rimasto solo nella vecchia e triste casa, che Nicoletta gli aveva ceduto con quel po’ ch’era riuscita a salvare dalla rovina, spesso, non sapendo limitarsi nelle spese, per comperarsi una bella cravatta o un bel bastoncino, restava digiuno — quando, beninteso, non si presentava in casa di Flaminio Salvo, nell’ora del desinare, sapendo che la figliastra era lì. E Nicoletta, che per l’onta segreta gli avrebbe strappato il pappafico, o gli occhi, doveva accoglierlo risolente.

Ella sentiva che avrebbe potuto esser buona, in fondo, e veramente buona le pareva d’essersi dimostrata in certi momenti della sua vita; ma che intanto un perfido destino non aveva voluto permetterle d’esser tale. Cattiva per forza doveva essere! Tutto, tutto falso in lei, dentro e fuori e intorno. E una lotta segreta, continua, por vincer l’afa del disgusto, per non sentir l’impiccio della maschera, quantunque già sul volto le fosse divenuta fina comò la stessa pelle. Ma aveva su la fronte un cerro di capelli svoltato, ribelle, Nicoletta Capolino, e temeva in certe ore, che così l’anima qualche giorno le si sarebbe svoltata in petto, in un sùbito prorompimento contro la soffocazione di tanti e tanti anni.

Per ora, il marito andava a battersi? E lei a festa!

Per non vedere, per non esser veduta da troppa gente, ordinò al cocchiere di lasciar la via Atenea e di prendere por la strada esterna di Santa Lucia,