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E n’avesse almeno goduto! Che supplizio cinese dovevano essere per lui, tuttora, quelle scarpine di coppale, che lo costringevano ad andare a passetti di pernice, quasi in punta di piedi! Le male lingue dicevano ch’egli sotto il panciotto teneva il busto, come le donne. Il busto, no; una fascia di lana teneva, stretta e rigirata più volte attorno alla vita, anche a salvaguardia delle reni, che ora gli s’erano ingommate. Non era tanto vecchio poi poi: aveva appena qualche annetto più di Capolino; ma lo sfacimento, ad onta di tutte le diligenze e delle più amorose e disperate cure, era cominciato in lui prestissimo. Pareva adesso un fantoccio automatico: tutto aggiustato, tutto congegnato, tutto finto: nei denti, nel roseo delle gote, nel nero dei baffetti incerati e del piccolo pappafico e delle esili sopracciglia e dei radi capelli; e camminava e si moveva come per virtù di molle, giovenilmente. Gli occhi, però, tra tanta chimica, quasi smarriti entro le borse gonfie e acquose delle pàlpebre, esprimevano una pena infinita. Perchè erano venuti i guaj, purtroppo, dopo la morte della moglie. Nicoletta avrebbe potuto sbarazzarsi di lui, ma ne aveva avuto pietà; sera prosa lei però l’amministrazione di quel po’ ch’era restato; e le apparenze, sì, aveva voluto salvarle, e Zio Salesio (ormai quasi mummificato) aveva seguitato a mostrarsi per via come un milordino prodigio d’eleganza, sempre in calze di seta e scarpino di coppale, in punta di piedi; ma, in casa, eh, in casa la più stretta economia. Tanto che, un giorno, Nicoletta se l’era visto arrivare con un involto di due polli arrosto finti, di cartone, sotto il braccio. Sicuro: due polli arrosto di cartone da figurare su la magra mensa sotto i paramosche di rete metallica. Ogni giorno il povero vecchio se li