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ricchezza, che soltanto al Salvo si poteva passare. Dal sobborgo Ràbato, ove Capolino abitava, al viale della Passeggiata, ove il Salvo da alcuni anni s’era fatta costruire un’amenissima villa, si poteva andare a piedi in mezz’ora,
Nicoletta non aveva alcun dubbio che il marito andava a battersi quella mattina. Ma non doveva saperlo, per potersi divertire. Quante e quant’altre cose non doveva ella parimenti sapere, per poter essere così, gaja e amante della vita. Ci riusciva, spesso, a forza di volontà, non già a non saperle, che non le sarebbe stato possibile, ma a fare, proprio, come se non le sapesse. Di nascosto, quando ne aveva fino alla gola, uno sbuffo, e là! — sollevava l’anima sopra tutte le miserie che la avevano oppressa sempre, quasi fin dalla nascita.
Non doveva sapere, ad esempio, che la madre le aveva fatto morire — se non di veleno, come qualcuno in paese aveva malignato — ma certo di crepacuore il padre, per unirsi in seconde nozze con colui ch’ella chiamava zio Salesio, antico scritturale del banco Spoto.
Aveva appena cinque anni, quando il padre le era morto, eppure lo ricordava bene; tanto che la madre non aveva potuto mai persuaderla a chiamar babbo quel suo secondo marito molto più giovine di lei.
Non era cattivo, no, zio Salesio; ma fatuo, fatuo e vano come la stessa vanità. Appena marito della vedova di Baldassarre Spoto, aveva creduto sul serio che da quel matrimonio gli fosse derivato quasi un titolo di nobiltà; e i più strani fumi gli erano saliti al cervello; tutta l’anima anzi gli si era quasi convertita in fumo. Presto però la brace per quei fumi aveva cominciato a languire. Spese pazze....