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netto del loro senso morale, cinto tutt’intorno da un’irta siepe di scrupoli, la quale non aveva poi nulla da custodire, giacchè quel loro giardinetto non aveva mai dato altro che frutti imbozzacchiti o inutili fiori pomposi!
Debiti? Cambiali? Oh bella! Ma egli aveva firmato sempre cambiali, in vita sua! A diciott’anni, a Palermo, nei primi mesi del 1860, il Comitato rivoluzionario non sapeva come fare: si sperava in Garibaldi, si sperava in Vittorio Emanuele e nel Piemonte, si sperava in Mazzini; ma i mezzi mancavano e le armi e le munizioni. Ebbene, egli aveva proposto di prendere dalla Cassa di sconto del Banco di Sicilia sei mila ducati con le firme dei signori più facoltosi. E aveva firmato lui per primo, che non aveva un carlino in tasca, per duecento ducati. Il Governo provvisorio avrebbe poi pagato. Come s’era fatto il 4 aprile? Ma s’era fatto così!
E come aveva compiuto, lui solo, il bonificamento dei terreni paludosi che ammorbavano gran parte del suo collegio elettorale? Ma anche a furia di cambiali! Poi, il collegio s’era liberato della malaria, e i debiti — si sa — erano rimasti a lui, perchè l’impresa della coltivazione, affidata a certi suoi parenti inesperti, era fallita, e i frutti dell’opera sua, ora, se li godevano per la maggior parte tanti altri che gli davan solo le bucce come e quando volevano, ma che però gli facevano costantemente l’onore di eleggerlo deputato.
Era vero, sì: oltre ai denari attinti alle Banche per questa impresa e per altre ugualmente vantaggiose a molti, solo disgraziate per lui; altri e non pochi ne aveva presi per il suo mantenimento. Vivere doveva; e poveramente non sapeva, nè voleva. Da giovane, aveva interrotto gli studii, per prender