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umili i begli occhi, che tante lagrime versate avevano velati e quasi intorbidati per sempre.
Quasi ogni notte, infatti, ella piangeva col cuore sfranto per Rosa, la sorella sua disgraziata, la sorella sua perduta, caduta nell’ultimo fondo dell’ignominia. Più volte, non potendo ella andarla a trovare nel luogo infame, dove ora stava chiusa, aveva pregato Antonio di andarci per lei. E Antonio, l’ultima volta che c’era andato, trovandola mezzo brilla.... — orrore! orrore!
Un fracasso di grida, d’applausi, misti a gli strilli del bambino e a gli abbajamenti del cane, giunse in quel punto dalla stanza a terreno; e poco dopo ’Nzulu, il vecchio barbone, cacciato via a pedate da giù, tutto tremante, piegato su le zampe di dietro, come se volesse col fiocchetto della coda convulsa spazzare il suolo, venne ad allungare il naso baffuto su le ginocchia di Mita, che s’era rimessa a sedere.
Le due sorelle, nel veder la povera bestia implorante ajuto e riparo da loro, si misero a piangere. E allora Antonio Del Re, non sapendo più tenersi, si cacciò in capo il cappello, aprì la vetrata del balconcino e, scavalcata la ringhiera di ferro, mentre Mita e Annicchia, spaventate, gridavano: “Oh, Dio, don Ninì.... che fate? che fate?„, si calò giù, reggendosi prima con le mani a due bacchette della ringhiera, poi si lasciò cadere nella piazza sottostante.
S’udì il tonfo e quindi il rumore di qualcosa andata in frantumi. Mita accorse a guardare e lo vide giù, curvo, che cercava con le braccia protese, come un cieco, il cappello che gli era cascato lì presso.
— Don Ninì, vi siete fatto niente?
— Niente.... — rispose egli di sotto. — Le lenti.... Mi son cascate le lenti.