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Mita stava ad allestirgli, insieme con la sorella la biancheria che doveva portarsi a Roma.
Tutte le migliori famiglie della città, e anche la nonna e la madre d’Antonio, davan lavoro a quelle due povere sorelle, che si recavano spesso anche a giornata qua e là. La considerazione era per esse soltanto, anzi la pietà; ed esse lo comprendevano bene, e di giorno in giorno divenivan più umili per meritarsela meglio, per dimostrar la loro gratitudine e non essere abbandonate. Capivano che a troppe cose si doveva passar sopra per ajutarle, a troppe cose che il padre e le sorelle, anzichè attenuare, facevan di tutto perchè avventassero di più, come se a posta volessero concitarsi contro tutto il paese e stancare la pazienza e la carità del prossimo! Ma il danno poi non sarebbe stato anche loro? Che doveva dir la gente? Noi, estranei, dobbiamo aver considerazione por voi, dobbiamo ajutarvi, mentre il vostro sangue stesso, quelli che voi mantenete con l’aiuto nostro, debbono farci la guerra? Disordini, scandali inimicizie!
Per scusare in certo qual modo il padre, Mita e Annicchia si forzavano a credere che veramente il cervello gli avesse dato di volta dopo la sciagura di Rosa, la sorella maggiore. Certo, da allora s’era aperto l’inferno in casa loro. Più che del padre, Mita e Annicchia si lagnavano, si crucciavano in cuore de le sorelle. Come mai non comprendevano queste, che solamente col silenzio, con la modestia più umile e più schiva si poteva, se non cancellare del tutto render meno evidente il marchio di infamia, di cui la loro casa era ormai segnata? Rita, quando il bambino le lasciava un po’ le mani libere, e anche Tina e Lilla, sì, le ajutavano a cucire, a imbastire o a passare a macchina, nei giorni non frequenti che il la-