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il Préola apparve in tale stato, che le ciglia aggrottate del capitano balzarono fino al berretto, e la bocca, serrata dall’ira, s’aprì dallo stupore.

Non pareva più un uomo, colui: salvo il santo battesimo, un porco pareva, fuori del brago, cretaceo e arruffato. Con le gambe aperte, buttato indietro su le reni a modo degli ubbriachi, il Préola seguitò da lassù a declamare con ampii e stracchi gesti:

Dimmi, corri, Sciarallino,
all’assalto d’un molino?
od a caccia di lumache
vai così di buon mattino,
con codeste rosse brache
e il giubbon chiaro turchino,
Sciarallino, Sciarallino?

— Quanto sei caro! — gli disse Sciaralla, allungando una mano alle terga, ove la mota gli s’era appiastrata.

Marco Préola si calò giù, sul sedere, dall’arginello lubrico di fango, e gli s’accostò.

— Caro? — disse. — No: mi vendo a buon mercato! Ti piace la poesia? Bella! E sèguita, sai? La stamperò su L’Empedocle domenica ventura.

Capitan Sciaralla stette ancora un pezzo a guardarlo, col volto contratto, ora, in una smorfia tra di schifo e di compassione. Sapeva che colui andava soggetto ad attacchi d’epilessia; che spesso vagava di notte come un cane randagio e spariva per due o tre giorni, finchè non lo ritrovavano come una bestia morta, con la faccia per terra e la bava alla bocca, o su al Culmo delle Forche o su la Serra Ferlucchia o per le campagne. Gli vide la faccia gonfia, deturpata da una livida, lunga cicatrice su