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La bambola baffuta.


Trambusto, a casa, più del solito. Si progrediva notevolmente, di giorno in giorno, verso la rivoluzione sociale. C’erano — e s’indovinava subito fin dalla strada — i cinque studenti, già condiscepoli di Celsina. C’era anche, ma ingrugnato e tutto aggruppato in un angolo, Antonio Del Re, il nipote di donna Caterina Laurentano e di Roberto Auriti. Parlavano tutti insieme a voce alta. Il gigante, cioè Emanuele Garofalo, e quel piccolo Miccichè che friggeva in ogni membro e scattava e schizzava come un saltamartino, e il racalmutese atticciato e violento Bernardo Raddusa gridavano, non si capiva bene che cosa, attorno a sua figlia Mita, la maggiore delle sei rimaste in casa, quella che lavorava tutto il giorno e talvolta anche la notte insieme con Annicchia, ch’era la terza. Attorno a questa strillavano le sorelle Tina e Lilla con Totò Licalsi e Rocco Ventura; Rita cercava di quietare il bimbo che piangeva, spaventato; Celsina, accesa di stizza, litigava con Antonio Del Re; e, come se tutto quel badanai fosse poco, ’Nzulu, il vecchio barbone nero baffuto e mezzo cieco, acculato su una seggiola, levando alto il muso si esercitava in lunghi e modulati guaiti di protesta!

Luca Lizio, appartato, si teneva il capo con tutt’e due le mani, quasi per paura che quegli strilli glielo portassero via.

— Signori miei, che cos’è? dove siamo? — gridò Nocio Pigna, entrando.

Tutti si voltarono, gli corsero incontro e, accalorati, presero a rispondergli a coro. Nocio Pigna si turò gli orecchi.