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Sì e no, aveva potuto metterne insieme una ventina. Pensava a tutte le seggiole delle chiese; a quelle ch’erano sotto la sua custodia, un tempo, a San Pietro; pensava alle carrettate che ogni domenica sera se ne trasportavano all’emiciclo in fondo al viale della Passeggiata, ove sonava la banda militare. Seggiole d’avanzo, là per le bigotte, qua per le civette! e nel Fascio, niente! Colpa dei soci, però, alla fin fine; e dunque, peggio per loro! Sarebbero rimasti in piedi.

Stava per rincasare, quando da un vicoletto che sboccava nella piazza senti chiamarsi piano da qualcuno in agguato lì ad aspettarlo, incappucciato.

Ps, ps....

Un contadino! Il cuore gli diede un balzo in petto. Gli s’accostò premuroso.

Serv’a Voscenza. Posso dirle una parolina?

— Come dici? — gli domandò Nocio Pigna, facendoglisi più presso, costernato dall’aria di sospetto e di mistero con cui quell’uomo gli stava dinanzi, parlando dentro il cappuccio, che gli lasciava scoperti appena appena gli occhi soltanto. — Vuoi parlare con me?

— Sissignore, — rispose quegli più col cenno che con la voce.

— Eccomi, figlio mio, — s’affrettò a dir Pigna. — Vieni qua.... entriamo qua....

E gl’indico il portone del Fascio.

Ma quegli negò col capo e subito si trasse più indietro nel vicoletto. Pigna lo segui.

— Non aver paura. Non c’è nessuno. Che vuoi dirmi?

L’uomo incappucciato esitò ancora un po’, prima di rispondere; volse intorno gli occhi acuti e sospettosi, poi mormorò, sempre dentro il cappuccio: