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spigonare, i giovani di magazzino, i pesatori e gli scaricatori. Ma a Porto Empedocle.... Piano, per amor di Dio! non poteva più sentirlo nominare, Nocio Pigna: la memoria della baja che gli avevano data laggiù era come una piaga sempre aperta nel cuore di lui e, a toccargliela appena appena, non avrebbe finito più di strillare. Figli di cane, ributto d’ogni civiltà! avere il mare, signóri miei, lì sempre innanzi agli occhi; che si scherza? il divino mare, l’immensità! aver posto le proprie case su la spiaggia in attesa delle navi di lontani paesi, cioè la propria vita alla mercè delle genti; e, sissignori, nessuno spirito di fratellanza umana! di tutto quel mare non sapevano veder altro che la spiaggia, anzi le immondizie soltanto della spiaggia, le loro fecce scorrenti lungo le fogne scoperte. Quel mare, ah quel mare avrebbe dovuto gonfiarsi d’ira, di sdegno, alzare un’ondata e sommergerlo, ingoiarselo, quel paese di carognoni!
Qua, a Girgenti, bisognava lavorare come le formiche, pazienza! Aveva cominciato a trattare con qualche Presidente delle maestranze locali: ma quelle due mani afferrate, simbolo delle Società di mutuo soccorso, mani tagliate, senza sangue, cioè senza colore politico, o mani col santo rosario e la rametta d’olivo di qualche circolo cattolico, stentavano a staccarsi, stentavano a tendersi fraternamente ai lavoratori d’altre arti e d’altri mestieri, come avevano fatto a Catania, a Palermo, per comporre un più ampio circolo, l’unione di tutte le forze proletarie, il Fascio dei Fasci, in somma.
Luca Lizio aveva già scritto a Roma a don Lando Laurentano (ch’era dei loro, vivaddio, principe e socialista!), perchè desse lui la spinta a tutti i perplessi e i titubanti: una sola parola di lui, un cenno