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a cavallo; ma per la pistola, Gnazio mio, sei vecchio, e ho paura che.... Basta; vieni con me, a casa mia. C’è il cortile. Voglio vedere come tiri.
Capolino tentò d’opporsi; ma non ci fu verso: dovette andare, e anche Ninì, per esercitarsi gli orecchi al botto.
Presero per l’erta via di Lena, dove pareva fosse un abbaruffìo, un tumulto attorno a qualcuno che cantava. Niente! Erano i pescivendoli che, arrivati or ora dalla marina, scavalcati dalle mule cariche, gridavano tra la folla il pesce fresco, con lunga e gaja cantilena. I tre proseguirono per la salita sempre più erta di Bac Bac, finchè non giunsero presso la porta più alta della città, a settentrione, il cui nome, arabo anch’esso, Bàb-er-rjiah (Porta dei venti), era divenuto Biberia.
Il D’Ambrosio stava lassù, in una casa antica, col baglio (vasto (tortile acciottolato) e un cisternone in mezzo, insieme con la madre vecchissima, per cui aveva una devozione più che religiosa. La povera vecchina era sorda, e viveva in continua ansia, in continui palpiti per quel suo figliuolo impetuoso. Sempre con la calza in collo, stava a guardare dai vetri d’una finestra. Vedeva il colle, su cui sta Girgenti, scoscendere in ripido pendio su la Val Sellano, tutta intersecata di polverosi stradoni. Il panorama, di fronte, era profondo e montuoso. A destra, si levava fosco e imminente Monte Caltafaraci; più là, in fondo, il San Benedetto; quindi s’allargava il piano di Consòlida e, a mano a mano, sempre più verso ponente, il pian di Clerici, di là dalla montagna di Carapezza e di Montaperto più qua. Giù dirimpetto, la Serra Perlucchia, gessosa, mostrava le bocche cavernose delle zolfare e i lividi tufi arricci dei calcheroni spenti, In fondo in fondo, dai