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giovani e appariscenti, che avvampavano per l’onta e che pur non di meno talvolta cedevano ed eran condotte, oppresse d’angoscia e tremanti, a fare abbandono del proprio corpo, senz’alcun loro piacere per non ritornare al paese a mani vuote, per comperare ai figliuoli lontani, orfani, un pajo di scarpette, una vesticciuola. (— Occasioni! Una poverella bisognava che ne profittasse. Nessuno avrebbe saputo.... Presto, presto.... Peccato, sì, ma Dio leggeva in cuore....)
I molti sfaccendati della città andavano intanto su e gù, su e giù, sempre d’un passo, cascanti di noja, con l’automatismo dei dementi, su e giù per la strada maestra, l’unica piana del paese, dal bel nome greco, Via Atenea, ma angusta come le altre e tortuosa.
Via Atenea, Rupe Atenea, Empedocle.... — nomi: luce di nomi, che rendeva più triste la miseria e la bruttezza delle cose e dei luoghi. L’Akragas dei Greci, l’Agrigentum dei Romani eran finiti nella Kerkent dei Musulmani, e il marchio degli Arabi era rimasto indelebile negli animi e nei costumi della gente. Accidia taciturna, diffidenza ombrosa e gelosia.
Dal bosco della Civita, cuore della scomparsa città vetusta, saliva un tempo al colle, ove siede misera la nuova, una lunga fila di altissimi e austeri cipressi, quasi a segnar la via della morte. Pochi ormai ne restavano; uno, il più alto e il più fosco, si levava ancora sotto l’unico viale della città, detto della Passeggiata, la sola cosa bella che la città avesse, aperto com’era alla vista magnifica di tutta la vastissima piaggia, svariata di poggi e di valli e di piani, e del mare in fondo, nella sterminata curva dell’orizzonte. Quel cipresso, stagliandosi nero e mae-