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qualche cosa e parlano e si muovono, come se avessero veramente un qualche scopo innanzi a loro il quale poi, raggiunto, non dovesse a loro stessi apparir vano. Io comincerei, signor mio, dal rompere questo bicchiere. Poi butterei giù la casa.... Ricominciando daccapo, chi sa!... Voi dite che quei disgraziati la ragione l’hanno qua? Beati loro, signor mio! E guai se si saziano.... Dove l’avete voi, la ragione? Dove l’ho più io?
E si levò di tavola.
Poco dopo Flaminio Salvo e Dianella erano affacciati alla finestra. La notte era scurissima. Le stelle profonde, che pungevano e allargavano il cielo, non arrivavano a far lume in terra. I grilli scampanellavano lontano ininterrottamente e, a quando a quando, dal fondo del vallone saliva il verso accorato d’un gufo, come un singulto. Il bujo, il silenzio attorno a la villa era qua e là a tratti punto e vibrante di rapidi stridi di nottole invisibili. Poi la luna emerse, paonazza, su dall’ampia chiostra di Monserrato in fondo, e s’avvertì un lievissimo brulichìo di foglie per tutta la campagna. Un cane, lontano, abbajò.
— Tu non hai niente, Dianella, proprio niente da dire a tuo padre? — domandò il Salvo senza guardarla, con tono mesto, come se con l’anima vagasse lontano assai da quella finestra.
— Io? — fece Dianella, incerta e quasi sbigottita. — Niente... Che potrei dirti?
— Niente, dunque, — riprese il padre. Nessun piccolo, piccolo segreto.... niente, eh? Sono contento. Perchè tu, povera figliuola mia, purtroppo hai soltanto me, preso da tante brighe... E oggi... che giornataccia!... Sai che manca a molti? Il senso dell’opportunità. Non dico che avrei risposto di sì, se