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— Eccellenza, sì — rispose questi.

Ed ecco il padre e il Costa frettolosi. Flaminio Salvo non s’aspettava di trovar la figlia sul pianerottolo della scala, e, vedendola, si tirò un po’ indietro, senza fermarsi, le fece un sorriso e la salutò con la mano. Aurelio Costa, che gli veniva dietro, rimase un istante confuso, accennò di togliersi il berretto da viaggio ma il Salvo gli gridò:

— Andiamo, andiamo...

Dianella, pallida, col fiato rattenuto, li vide montare su la vettura, partire senza volgere il capo, e li seguì con gli occhi finchè non scomparvero tra gli alberi del viale.

Com’era cangiato Aurelio! Sconvolto... Pareva malato, invecchiato, con la barba non rifatta... Dianella pensò al giudizio che ne aveva dato Nicoletta Capolino. Avrebbe voluto vederlo più altero di fronte al padre; avrebbe voluto che, non ostante il richiamo imperioso di questo, egli si fosse fermato lì sul pianerottolo, almeno per salutarla. Invece subito aveva obbedito...

Forse il momento... Chi sa che era accaduto alle zolfare!


In agguato.


Flaminio Salvo ritornò tardi, la sera, d’umor gajo, come ogni qual volta prendeva una grave decisione.

A cena, si scusò con don Cosmo della sfuriata della mattina; disse che n’aveva fino alla gola, delle innumerevoli seccature che gli erano diluviate da quelle zolfare d’Aragona, e che aveva deciso di chiuderle.