Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
villa, scendevano il padre, di ritorno, e Aurelio Costa – lui! – in tenuta da campagna.
— Andate, andate, — le disse Mauro, quasi spingendola. — Chiudo e me ne scappo!
Dianella uscì sul corridojo e vide in fondo a esso il Costa e il padre, diretti alla camera di questo, nella quale si chiusero. Allora Mauro Mortara, come una bestia sorpresa nel giaccio, sgattajolò ranco ranco, senza dirle nulla.
Ella rimase perplessa, profondamente turbata, non sapendo che pensare di quell’improvviso insolito ritorno del padre. Evidentemente, tanto questo ritorno quanto la venuta d’Aurelio Costa si connettevano con le notizie dei tumulti d’Aragona. Qualcosa di molto grave doveva essere accaduto. Era fuggito Aurelio? No: Dianella non volle nemmeno supporlo. Forse il padre stesso aveva mandato a chiamarlo. Con quale animo?
Fu tentata di recarsi nella sua camera, attigua a quella del padre, se le riuscisse di cogliere qualche parola attraverso la parete, ma ricordò lo sguardo del padre, quella mattina, e se n’astenne; rimase tuttavia come tenuta tra due, nella sala d’ingresso.
— Suo papà, — le annunziò donna Sara Alàimo, sporgendo il capo dall’uscio della cucina.
Dianella le accennò di sì col capo.
— Con l’ingegnere, — aggiunse donna Sara, sottovoce.
Dianella le accennò di nuovo col capo che sapeva, e uscì sul pianerottolo della scala esterna. La vettura era lì ancora, in attesa, a piè della scala. Dunque il padre doveva ripartire subito? Forse era venuto per prendere qualche carta.
— Andrete a Porto Empedocle adesso? — domandò al cocchiere.