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sperduto, fuor di stagione, che le scorreva su la mano.... Com’era bello! piccolo e lucido più d’una gemma! E poteva dunque la terra, tra tante cose brutte e tristi, produrne pure di così gentili e graziose?...
Trascorse, quasi in risposta, su quelle foglie, su la sua mano, come un lieve e fresco alito di gioja. Dianella trasse un sospiro e aspettò con la mano su l’erba che l’insetto ritrovasse la sua via tra le foglie, poi si scosse di soprassalto all’arrivo festoso, improvviso dei tre mastini, che le si fecero attorno, anzi sopra, impazienti, scostandosi l’un l’altro, per aver sul capo la carezza delle mani di lei. E non la lasciavano alzare. Alla fine sopraggiunse Mauro Mortara.
— Vi siete sentita male? — le domandò, cupo, senza guardarla.
— No.... niente.... — le rispose ella, schermendosi con le braccia dalle piote e dalle linguate dei cani, e sorridendo mestamente. — Un po’ stanca....
— Qua! — gridò forte Mauro ai tre mastini, perchè la lasciassero in pace.
E subito quelli restarono, come impietriti dal grido. Dianella sorse in piedi e si chinò a carezzarli di nuovo, in compenso della sgridata.
— Poverini.... poverini....
— Se volete venire.... — propose Mauro.
— Eccomi. A veder la stanza del Generale? Ho tanta curiosità....
Era impacciata nel parlargli, non sapendo ancor bene se dargli del voi o del tu.
— Vostro padre è partito?
— Sì sì, — s’affrettò a rispondergli; e subito si pentì della fretta, che poteva dimostrare in lei quel sollievo stesso, che provavan tutti quando il padre era assente. — Ad Aragona, — disse, — si sono ri-