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visite delle tre o quattro famiglie conoscenti, che gareggiavano d’affetto e di confidenza verso lei, ch’era come la reginetta del paese, fra le spiritosaggini solite dei soliti giovanotti eleganti, anneghittiti, immelensiti nella povera e ristretta vita provinciale; ella si era riscossa alla vista di lui così maschio, padrone di sè ormai, del suo cammino conquistato con la forza, con la tenacia, col lavoro.
La gioja di rivederlo s’era però d’un subito offuscata in lei. C’era quel giorno a visita Nicoletta Spoto, da un anno appena moglie del Capolino. Aveva notato uno strano imbarazzo, un vivo turbamento tanto in costei quanto in Aurelio, allorchè questi, introdotto nel salone, s’era inchinato a salutare. Poi, appena il padre aveva condotto via con sè nello studio Aurelio, la Capolino, rifiatando, aveva narrato con focosa vivacità a lei e alla zia Adelaide, che quel poveretto lì, tutto impacciato, aveva nientemeno osato di mandare a chiederla in isposa, subito dopo ottenuto il posto d’ingegnere governativo in Sardegna, ricordandosi forse di qualche occhiatina ingenua scambiata tanti e tanti anni addietro, quand’egli era ancora studentello all’Istituto. Figurarsi che orrore aveva provato lei, Lellè Spoto, a una tal richiesta, e come s’era affrettata a rifiutare, tanto più che già erano avviate le prime pratiche per il matrimonio con Ignazio Capolino.
S’era sentita voltare il cuore in petto a questa notizia inattesa, improvvisa, Dianella; s’era fatta certo di mille colori e certo s’era tradita con quella donna, di cui già conosceva la relazione segreta e illecita col padre. Non le aveva detto nulla; ma quando Aurelio, dopo la lunga udienza, era ritornato in salone, ella, tutta accesa e vibrante, lo aveva accolto con festa esagerata, ricordandogli i giorni passati in-