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chè? perchè, se lavorava senza più amore e quasi senza più scopo? perchè gravare su le spalle esili di lei — figlia.... sì, amata, ma non prediletta, quantunque rimasta sola — fardello esoso, tutte quelle ricchezze, che molti forse maledicevano in segreto e che certo non le avrebbero recato fortuna?

Dispetto e anche sgomento, talvolta, ne sentiva Dianella, prevedendo purtroppo che il cuore forse le sarebbe rimasto schiacciato sotto quel cumulo d’oro.

Eppure s’era illusa, fino a poco tempo fa, che il padre l’avrebbe lasciata libera nella scelta; che anzi egli stesso la avesse ajutata a scegliere, beneficando colui che, da ragazzo, gli aveva salvato la vita.

Vispo e fiero, bruno, come fuso nel bronzo, coi capelli ricci, neri e gli occhi pieni di fuoco, Aurelio Costa le era apparso la prima volta, a tredici anni; ed era stato poi per tanto tempo suo compagno di giuoco, suo e del fratellino. Essi non capivano allora l’abisso ch’era tra loro. Ma poi, man mano, Aurelio era divenuto sempre più timido e circospetto. Ella aveva poco più di dodici anni, quand’egli, a diciotto, era partito per iscriversi all’Università di Palermo nella facoltà d’ingegneria; e aveva pianto molto lei, molto — ancora come una ragazzetta ignara — nel dargli l’addio. Che festa poi al ritorno di lui, dopo l’anno scolastico! Era stata così vivace, così piena di giubilo quella festa, che il padre, appena andato via Aurelio, se l’era chiamata in disparte e, pian piano, con garbo, carezzandole i capelli, le aveva lasciato intendere che sarebbe stato bene frenarsi, perchè il Costa era ormai un giovanotto e non bisognava perciò dargli ancora del tu. Ella — senza saperne ancor bene il perchè — era diventata di bragia. Oh Dio, e allora, come? del lei? Non era più lo stesso Aurelio? No, non era più lo stesso — nean-