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ricaduto nel suo solito letargo filosofico. Si scosse alla fine, ma senza aprir gli occhi; pose una mano avanti, disse:
— Però....
— Ah, sì! — riattaccò subito, con enfasi, il Costa, battendosi le due manacce sul petto. — In coscienza, un’anima sola abbiamo, davanti a Dio, e debbo dire la verità. Ma mio figlio oh, si-don Cosmo — (e il Costa levò una mano con l’indice e il pollice giunti, in atto di pesare) — tutti i figli saranno figli, ma quello! cima! diritto come una bandiera! in tutte le scuole, il primo! Appena laureato, subito il concorso per la borsa di studio all’estero.... Erano, sorella mia, più di quattrocento giovani ingegneri d’ogni parte d’Italia: tutti sotto, tutti sotto se li mise! E mi stette fuori quattr’anni, a Parigi, a Londra, nel Belgio, in Austria. Appena tornato a Roma, senza neanche farlo fiatare, il Governo gli diede il posto nel Corpo degli ingegneri minerarii, e lo mandò in Sardegna, a Iglesias, dove ci fece un lavoro tutto colorato su una montagna.... Sarrubbas.... non so.... ah, Sarrabus, già, dico bene, Sarrabus (parlano turco, in Sardegna), un lavoro che fa restare, sorella mia, a bocca aperta. Ci stette poco, un anno, poco più, perchè una Società francese, di quelle che.... i marenghi, a sacchi.... vedendo quella carta, rimase propriamente allocchita. Non lo dico perchè è figlio mio; ma quanti ingegneri c’è, qua e fuorivia? se li mangia tutti! Basta. Questa Società francese, dice, qua c’è la cassa, figlio mio, tutto quello che volete. Mio figlio, tra il sì e il no d’accettare, venne qua in permesso — saranno sei o sette mesi — per consigliarsi con me e col principale, suo benefattore, ch’egli rispetta come suo secondo padre, e fa bene! Il principale stesso gli sconsigliò d’accet-