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misero staderante a gl’imbarchi per la dogana, e me ne vanto. Lui, però, che cos’era? Di nobile casato, sissignore; ma un sensaluccio era, che veniva a piedi da Girgenti a Porto Empedocle, tutto impolverato per lo stradone della Spinasanta, perchè non aveva neanche da pagarsi la carrozza o d’affittarsi un asinello, allora che la ferrovia non c’era. E i primi piccioli, come li fece? Lo sa Dio e tanti lo sanno, tra i morti e i morti. Poi prese l’appalto delle prime ferrovie, insieme col cognato che ora sta a Roma, signor ingegnere, banchiere, commendatore, don Francesco Vella, che conosciamo anche lui....

— Ah, — fece donna Sara, — ha un’altra sorella, lui?

— Come no? — rispose il Costa, sospendendo gli inchini con cui aveva accompagnato le ultime parole, — donna Rosa, maggiore di tutti, moglie del — (e s’inchinò ancora una volta) — commendatore Francesco Vella, pezzo grosso dell’Amministrazione delle ferrovie, adesso. La linea qua, da Girgenti a Porto Empedocle, non la fece lui? Balla comare, che fortuna suona! Centinaja di migliaja di lire, sorella mia; denari a cappellate, come fossero stati rena.... Due ponti e quattro gallerie.... Allunga là un gomito; taglia qua a scarpa.... Poi altre imprese di linee.... Tutta la ricchezza gli è venuta di là, dico bene, si-don Co’? Ci conosciamo!

— E le zucche? le zucche? — tornò a domandare donna Sara.

Bisognò che il Costa gliela narrasse per minuto, quella famosa storia delle zucche; e donna Sara lo compensò con le più vivaci esclamazioni di stupore, di raccapriccio, d’ammirazione del vocabolario paesano, battendo di tratto in tratto le mani, per scuotere Don Cosmo, il quale, conoscendo la storia, era