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che mi può anche schiaffeggiare, se vuole, chè da lui mi piglio tutto e gli bacio anzi le mani; se ancora è lì che comanda e si gode le sue belle ricchezze, lo deve pure a mio figlio, lo deve: lei lo sa, Signorinella, e fors’anche lei, si-don Cosmo.... siamo giusti!
— Già, già, — sospirò il Laurentano dalla finestra. — L’affare delle zucche....
— Che zucche? — domandò, incuriosita, donna Sara Alàimo.
— Mah! — fece il Costa. — Ve lo farete raccontare qualche volta dalla Signorinella qua, che conosce bene mio figlio, perdio son cresciuti insieme anche con quell’altro ragazzo, suo fratellino, che il Signore volle per sè e fu una rovina per tutti. La povera signora, là, che me la ricordo io, bella, un occhio di sole! ci perdette la ragione; e lui, povero galantuomo.... chi ha figli lo compatisce....
Dianella, col cuore gonfio per la durezza del padre, a questo ricordo, non potò più reggere e, per nascondere il turbamento, prese il sentieruolo per cui il Costa era venuto e sparve tra gli olivi.
Subito donna Sara, poi anche don Cosmo invitarono il Costa ad andar su, per farlo rimettere un po’ dalla corsa e non lasciarlo così sudato alla brezza del mattino. Donna Sara avrebbe voluto far di più: offrirgli una tazzolina di caffè; ma per non perdere una parola del discorso fitto fitto che il Costa aveva attaccato subito con don Cosmo sul Salvo, ora che la figliuola non poteva più sentirlo, finse di non pensarci.
— Ci conosciamo, santo Dio, ci conosciamo, si-don Co’! Che era lui, alla fin fine? Io, sì, coi piedi scalzi, ho portato in collo, lo dico e me ne vanto; in collo lo zolfo e il carbone, dalla spiaggia alle spigonare.
Il latino come dice? Necessitas non abita legge. Sissignore; e sono stato stivatore, e me ne vanto,