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boni si potrà caricare sui muli e si gli asini, scortati dalla forza: ci metteranno più tempo, ma almeno si potrà scongiurare il pericolo che la zolfara grande, la Cace, Dio liberi, s’allaghi....

— E s’allaghi! s’allaghi! s’allaghi! — scattò, furente, Flaminio Salvo, levando le braccia. — Vada tutto per aria! Non m’importa più di niente! Io chiudo sai! e mando tutti a spasso, te, tuo figlio, tutti, dal primo all’ultimo, tutti! Caccia via! Andiamo! — ordinò al cocchiere.

La carrozza si mosse, e Flaminio Salvo partì senza neppure volgersi a salutare la figlia.

Alla sfuriata insolita, don Cosmo s’era affacciato a una finestra de la villa e donna Sara Alàimo s’era fatta sul pianerottolo della scala. L’uno e l’altra e giù Dianella e il Costa rimasero come intronati. II Costa alla fine si scosse, alzò il capo verso la finestra e salutò amaramente:

Bado le mani, si-don Cosmo! Ha ragione lui: è il padrone! Ma per quel Dio messo in croce, creda pure, si-don Cosmo mio, creda, Signorinella: non sono prepotenze! la fame è laida assai; la miseria è grande!

Donna Sara dal pianerottolo scrollò il capo incuffiato, con gli occhi al cielo.

— Mangia il Governo, — seguitò il Costa, — e mangia la Provincia; mangia il Comune e il capo e il sottocapo e il direttore e l’ingegnere e il sorvegliante.... Che può avanzare per chi sta sotto terra e sotto di tutti e deve portar tutti su le spalle e resta schiacciato?... Ah Dio! Sono un miserabile, un ignorante sono; e va bene: mi pesti pure sotto i piedi! Ma mio figlio, santo Dio, no! mio figlio non me lo deve toccare! Gli dobbiamo tutto, è vero ma anche lui, se è ancora lì, padrone mio riverito,