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— Maledetto lui e le zolfare! — brontolò Mauro tra sè!
Flaminio Salvo scendeva la scala de la villa per montar su la vettura già pronta, quando Leonardo Costa sbucò dal sentieruolo a ponente, di tra gli olivi, gridando:
— Ferma! Ferma!
— Chi è? Cos’è? — domandò il Salvo, con un soprassalto.
— Bacio le mani a Vossignoria, — disse il Costa, togliendosi il cappellaccio e accostandosi, tutto grondante di sudore, arrangolato. — Non ne posso più.... Volevo venire stanotte.... ma poi....
— Ma poi? Che cos’è? che hai? — lo interruppe, brusco, il Salvo.
— Ad Aragona, a Comitini, tutti i solfarai, sciopero! — annunziò il Costa.
Flaminio Salvo lo guardò con freddo cipiglio, lisciandosi le lunghe basette grige che, insieme con le lenti d’oro, gli davano una cert’aria diplomatica, e disse, sprezzante:
— Questo lo sapevo.
— Sissignore. Ma jeri sera, sul tardi, — ripreso il Costa, — è arrivata a Porto Empedocle gente da Aragona e ha raccontato che tutto jeri hanno fatto l’ira di Dio nel paese....
— I solfarai?
— Sissignore: picconieri, carusi, calcheronai, carrettieri, posatori: tutti! Hanno finanche rotto il filo telegrafico. Dice che hanno assaltato la casa di mio figlio, e che Aurelio ha tenuto testa, come meglio ha potuto....
Flaminio Salvo, a questo punto, si voltò a spiare acutamente gli occhi di Dianella, che s’era accostata alla vettura. Quello sguardo strano, rivolto alla figlia