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di quel “malo cristiano„, non era cattiva, no, anzi....
E Mauro, senza volerlo, volse in giro uno sguardo per vedere se donna Dianella fosse già per la vigna.
In pochi giorni, da che era a Valsanìa, s’era rimessa quasi del tutto; si levava per tempo, ogni mattina; aspettava che il padre partisse con la carrozza, e veniva a raggiunger lui là per la vigna, e gli domandava tante cose della campagna: degli olivi, come si governano; dei gelsi, che a marzo colgono sangue di nuovo e, quando sono in amore, per gettare, son molli come una pasta; poi si fermava sotto l’ombrellone del pino solitario laggiù, dove l’altipiano strapiomba sul mare, per assistere alla levata del sole dalle alture della Crocea, in fondo in fondo all’orizzonte, livide prima, poi man mano cerulee, aeree e quasi fragili. Il primo a indorarsi al sole, ogni mattina, era quel pino là, che si stagliava maestoso su l’azzurro aspro e denso del mare, su l’azzurro tenue e vano del cielo.
In pochi giorni Dianella aveva fatto il miracolo: l’orso era domato. L’aria del volto, la nobiltà gentile e pure altera del portamento, la dolcezza mesta dello sguardo e del sorriso, la soavità della voce avevano fatto il miracolo, pianamente, naturalmente, andando incontro e vincendo la ruvidezza ombrosa del vecchio selvaggio.
Parlando, a volte, ella aveva nella voce e negli sguardi certe improvvise opacità, come se, di tratto in tratto, l’anima le si partisse dietro qualche parola e le andasse lontano lontano, chi sa dove; smarrita, se tardava a ritornarle, domandava: — “Che dicevamo?„ — e sorrideva, perchè ella stessa non sapeva spiegarsi ciò che le era avvenuto. Spesso anche, a ogni minimo tocco rude della realtà, pro-