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Non gli riusciva più vegliar tutta la notte: guardingo, a una cert’ora, come se qualcuno se ne potesse accorgere, andava a rintanarsi là, sotto quel caprifico; per poco, diceva a sè stesso; ma stentava a destarsi di giorno in giorno vieppiù. Le gambe non eran più quelle d’una volta; anche la forza del polso non era più quella.
Ah, la sua bella vigna.... Sì, il vino di quell’anno lo avrebbe forse bevuto; ma quello dell’anno appresso? Diede una spallata, come per dire: “Oh, alla fin fine....„, e sbadigliò a quella prima luce del giorno, che pareva provasse pena a ridestare la terra alle fatiche; guardò la distesa vasta dei campi, da cui tardava a diradarsi l’ultimo velo d’ombra della notte, poi si voltò a guardare il mare, laggiù, d’un turchino fosco, vaporoso, di tra le agavi ispide e i pingui ceppi glauchi dei fichidindia, che sorgevano e si storcevano in quella scialba caligine.
La luna calante, sorta tardi nella notte, era rimasta a mezzo cielo, sorpresa dal giorno, e già smoriva nella crudezza della prima luce. Qua e là nelle campagne, entro quel velo lieve di nebbiolina bianchiccia, fumicavano i fornelli, dove si bruciava il mallo delle mandorle.
Tuttavia, da due giorni. Mauro Mortara era meno aggrondato. Guardava ancora in cagnesco la villa; ma poi, pensando che Flaminio Salvo ogni mattina, a quell’ora, se ne partiva in carrozza o per Girgenti o per Porto Empedocle, e che non vi ritornava se non a tarda sera, traeva un respiro di sollievo, come se la vista del cascinone gli diventasse più lieve, sapendo che colui non c’era. Vi rimanevano, sì, coi servi, la moglie e la figliuola; ma quella, una povera pazza, tranquilla e innocua; e questa.... — pareva impossibile! — questa, quantunque figlia