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tantacinquemila lire, e la villa in groppa! La villa di mia madre, là....

E con la mano accennò verso levante, oltre il greppo dello Sperone, al colle più alto, detto di Torre che parla, dall’aspetto d’un leone posato a cui faceva da giubba un folto bosco di ulivi.

— Quarantaduemila, — riprese, erano di cambiali scadute: il resto, sfumato, volato via in meno di due anni! come? dove? Ora sento che si tratta di cedere al Salvo anche le terre di Milione. E che ci resta? I debiti col Salvo.... gli altri debiti.... Lo so ho saputo.... Lei sposerà, dice, la sorella..., donna Adelaide....

— E che c’entra? — domandò, stordito, dolente il Principe, guardando Monsignor Montoro.

— Mi congratulo, badi, mi congratulo.... — soggiunse subito il De Vincentis, rosso come un gambero. — Noi però siamo rovinati!

E si alzò per non far vedere le lagrime sotto le lenti cerchiate d’oro.

Don Ippolito guardò di nuovo il vescovo, senza comprendere.

— Vi dirò, — disse questi con tono grave di risentimento per la disubbidienza del giovine e calò su gli occhi chiari, pallidi, globulenti, le pàlpebre esilissime come veli di cipolla. — Vi dirò. So che Flaminio Salvo ha già fatto donazione alla sorella delle terre di Primosole e che è disposto a farle donazione, quando sarà, anche di quelle del fèudo di Milione. Ma sono addolorato del modo con cui il nostro Vincente si è espresso, perchè.... perchè non è il modo, codesto, di parlare di persone onorandissime, da cui forse, senza saperlo, abbiamo ricevuto qualche beneficio.

Il De Vincentis, che stava con le spalle voltate