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tevano tutto il corpicciuolo ossuto, sparuto, convulso, dal volto magro e sanguigno, sempre accigliato, con gli occhi fissi, duri, dietro le lenti fortissime da miope.

Parecchie volte il vescovo con le mani molli feminee o con la voce melata, dalle inflessioni misurate, quasi soffuse di pura autorità protettrice, gli aveva consigliato calma, calma; gli consigliò adesso, piano, prudenza, prudenza, oltrepassando il cancello de la villa tra il riverente ossequio degli uomini di guardia; e, di nuovo, col gesto, prudenza, prima di smontare dalla vettura.

I due ospiti furono subito introdotti da Liborio nel salone; ma essi uscirono sul terrazzo marmoreo aggettato su le colonne del vestibolo esterno, per godere del grandioso spettacolo della campagna e del mare.

Si delineava tutta di lassù la lontana riviera su l’aspro azzurro del mare sconfinato, da Punta Bianca, a levante, che pareva uno sprone d’argento, via via con insenature, con lunate più o meno lievi, fino a Monte Rossello a ponente, di cui soltanto nella notte si vedeva il faro sanguigno. Solo per breve tratto, quasi nel mezzo della dolce amplissima curva la riviera era interrotta dalla foce dell’Hypsas.

Don Ippolito sopravvenne poco dopo, premuroso, non ancor ben rimesso dal grave turbamento, che la visita de la sorella gli aveva cagionato.

— Ho condotto meco il nostro De Vincentis — disse subito Monsignor Montoro, — perchè vorrebbe vedere non so che cosa nel vostro Museo, caro Principe. Lo farete accompagnare, e noi resteremo qua su questo pergamo di delizia: non saprei staccarmene. Ma prima il De Vincentis vorrebbe rivolgervi una preghiera.