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— Sforcato.... sforcato.... — gemette. — Mi disonora, Eccellenza.... Lo manderò via, a Tunisi.... Ho già fatto le pratiche.... Intanto, subito, lo faccio venire qua. Mi perdoni, mi compatisca, Eccellenza.

E uscì, rinculando, ossequiando, col fazzoletto su la bocca.

Donna Caterina si alzò.

— Con questo, le disse don Ippolito, — non intendo affatto di derogare a me stesso, alla lotta per i miei principii, contro tuo figlio.

Donna Caterina alzò gli occhi a un grande ritratto a olio di Francesco II, a un altro del Re Bomba che troneggiavano nel magnifico salone, da una parete: chinò il capo e disse:

— Sta bene. Te l’ho detto anch’io.

E si mosse per uscire.

— Caterina! — chiamò don Ippolito, quand’ella era già presso l’uscio. — Te ne vai così? Forse noi non ci rivedremo mai più.... Tu sei venuta qua....

— Come dall’altro mondo.... — diss’ella, crollando il capo.

— E non t’avrei riconosciuta, — soggiunse il fratello. — Perchè.... attendi un po’ qua: ti farò vedere come io ti ricordavo, Caterina.

Corse a prendere dallo scrigno nella camera da lotto il medaglioncino in miniatura, e glielo mostrò:

— Guarda.... Ti ricordi?

Donna Caterina provò dapprima come un urto violento alla vista della sua immagine giovanile e ritrasse il capo; poi prese dalle mani di lui il medaglioncino, s’appressò al balcone e si mise a contemplarlo. Da un pezzo quegli occhi quasi spenti non avevano più lacrime, e l’ebbero. Pianse silenziosamente anche lui, il fratello.

— Lo vuoi? — le disse con voce rotta.