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anche tu lo sostenessi e che egli andasse su anche coi vostri voti!

— Sai bene.... — si provò a dirle il fratello.

— So, so, — troncò recisamente con un gesto della mano donna Caterina. — Ma combatterlo, Ippolito, non col coltello alla mano, non andando a scavar le fosse, come le jene, a scoperchiare certe tombe sacre, da cui i morti potrebbero levarsi e farvi morire di paura.

— Piano, piano, — disse don Ippolito, protendendo le mani che gli tremavano, non tanto per protestare, quanto per placare quell’ombra tragica de la sorella così agitata. — Io non t’intendo....

— Mi brucia le mani, — disse allora donna Caterina, gettando sul tavolinetto innanzi al divano una copia dell’Empedocle tutta brancicata.

Don Ippolito prese quel foglio, lo spiegò e cominciò a leggerlo.

— Con codeste sozze armi.... Contro un morto.... — mormorò donna Caterina, accompagnando la lettura del fratello.

Ansava, seguendo quella lettura e osservando sul volto di lui l’impressione disgustosa ch’egli ne riceveva.

— Roberto — riprese — è andato alla redazione di codesto giornale. Gli si è fatto innanzi l’autore dell’articolo, che è figlio, m’hanno detto, d’un tuo.... schiavo qui, il Préola. L’ha preso e scagliato contro una porta. Gliel’hanno strappato dalle mani.... Ora costui, armato di coltello (e l’ha cavato fuori!), minaccia d’uccidere; e questa mattina stessa è stato visto in agguato presso la casa mia. Ma io non temo di lui; temo che Roberto si comprometta di nuovo e torni a insozzarsi le mani.... Così volete combatterlo?