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Don Ippolito restò dapprima come stordito da un improvviso colpo alla testa. Arricciò il naso, impallidì. Poi, d’un subito, il sangue gli balzò al capo. Chiuse gli occhi, impallidì di nuovo, aggrottò le ciglia, serrò le pugna e, col cuore che gli martellava in petto, domandò:

— Qua? Dov’è?

— Su, Eccellenza.... nel salone, — rispose Liborio; e, poco dopo, vedendo che il Principe restava perplesso, chiese: — Ho fatto male?

Don Ippolito si voltò a guardarlo per un pezzo, come se non avesse intaso; poi disse:

— No....

E si mosse, senza neppur volgere uno sguardo al Lagàipa. Con l’animo in tumulto, cercò di fissare un pensiero che gli spiegasse il perchè di quella visita straordinaria, non volendo, non sapendo ammettere quel che gli era in prima balenato, che la sorella cioè, colei che in tante e tante sciagure aveva sempre rifiutato con ostinata fierezza, anzi con disprezzo, ogni soccorso, venisse ora a intercedere per il figlio Roberto. Ma che altro poteva voler da lui?


L’ombra tragica.


Salita la scala, era tanto oppresso d’angoscia, in preda a un’agitazione così soffocante, che dovette arrestarsi per un momento innanzi alla soglia. Entrare? presentarsi a lei in quello stato? No. Doveva prima ricomporsi. E in punta di piedi si diresse alla camera da letto. Qua, istintivamente, s’appressò allo scrigno dov’eran conservati un medaglioncino