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versia che l’agitava; sospirò; chiuse il libro, lasciandovi l’indice in mezzo e, ponendoselo dietro il dorso:

— Insomma, — disse, — bisogna vincere, don Illuminato! Io, guardi, in questo momento ho contro me un esercito di eruditi tedeschi; di topografi; di storici antichi e nuovi, d’ogni nazione; la tradizione popolare; eppure non mi do per vinto. Il campo di battaglia è qua. Qua li aspetto!

Gli mostrò il libro, picchiando con le nocche delle dita su la pagina, e soggiunse:

— Come tradurrebbe lei queste parole: κατ᾽αὐτὰς τᾶς θερινὰς ἀνατολάς?

Investito da quei quattro às, às, às, às, come da quattro schiaffi improvvisi, il povero don Illuminato Lagàipa restò quasi basito. Credeva di non meritarsi un simile trattamento.

Don Ippolito sorrise; poi, introducendo il braccio sotto il braccio di lui, soggiunse:

— Venga con me. Le spiegherò in due parole di che si tratta.

Uscirono sul vasto spiazzo innanzi a la villa; se ne scostarono un tratto a destra; quindi, voltando le spalle, il Principe mostrò al prete l’ampia zona di terreno, dietro la villa, in scosceso pendìo, coronata in cima da un greppo isolato, ferrigno, da un cocuzzolo tutt’intorno tagliato a scarpa.

— Questa, è vero? la collina akrea, — disse — Quella lassù, la nostra famosa Rupe Atenèa. Bene. Polibio dice: “la parte alta (l’arce, la così detta acropoli, insomma) sovrasta la città, noti bene!, in corrispondenza a gli orienti estivi„. Ora, dica un po’ lei: donde sorge il sole, d’estate? Forse dal colle dove sta Girgenti? No! Sorge di là, dalla Rupe. E dunque lassù, se mai, era l’Acropoli, e non su l’o-