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denza religiosa. Satriano era stato per lui il sole trionfatore di quella bufera sovvertitrice; e come un sole, ritornata la calma, aveva brillato su nel cielo di Sicilia dalla reggia normanna di Palermo, riaperta allo splendido feste per circondare di prestigio napoleonico il suo potere. Lì, nella reggia, don Ippolito aveva conosciuto donna Teresa Montalto, giovinetta, a cui poi il Satriano stesso aveva voluto far da padrino nelle nozze, ottenendo a lui, sposo, con sommo stento dal Re l’ordine di cavaliere di San Gennaro, di cui già il padre era stato insignito. La bufera s’era scatenata di nuovo nel 1800: dal ritiro di Colimbètra egli ne udiva il rombo lontano: lottava di là con tutte le forze, nel piccolo àmbito della città natale: la causa dei Borboni era per il momento perduta; bisognava lottare per il trionfo del potere ecclesiastico; restituita Roma al Pontefice, chi sa! Intanto si doveva a ogni costo impedire che la rappresentanza di Giacinto Fazello fosse usurpata da Roberto Auriti.

— Del resto, — riprese, — l’Auriti non ha più alcun prestigio nel paese. Ne manca da circa vent’anni....

— Simpatie, però.... — oppose reticente il Lagàipa, — ecco, sì.... qualche simpatia forse la gode....

— Non contano nulla, oggi, le simpatie, — rispose don Ippolito recisamente. — Di fronte a gl’interessi, nulla!

Prese dalla scrivania, così dicendo, il volume delle Storie di Polibio, che vi stava aperto e istintivamente se l’appressò a gli occhi. Subito questi gli andarono sul passo, tante volte riletto e tormentato, della controversia su quella benedetta acropoli. Si distrasse dal discorso; rilesse ancora una volta il passo, con la mente già piena di nuovo della contro-