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Capitolo Quarto.


Solo Gellia non fugge!


In fondo al vestibolo, tra i lauri e le palme, su lo sfondo della gran porta a vetri colorati, la preziosa statua acefala di Venere Urania, scavata a Colimbètra nello stesso posto ove ora sorge la villa magnifica, pareva che non per vergogna della sua nudità tenesse sollevato un braccio innanzi al volto ideale, cui ciascuno, ammirandola, le immaginava subito, lievemente inclinato, come se in realtà vi fosse; ma per non vedere inginocchiati lì, innanzi alla porta de la cappella, che si apriva a destra, tutti quegli uomini così stranamente parati: la compagnia borbonica di capitan Sciaralla.

La messa era per finire. Entro la cappella, lucida di marmi e di stucchi, stavano soltanto il principe don Ippolito, raccolto nella preghiera su l’inginocchiatojo dorato e damascato, innanzi all’altare; più indietro, Lisi Préola, il segretario; più indietro ancora, le donne di servizio: la governante e due giovani cameriere. La servitù mascolina doveva contentarsi d’assistere alla messa dal vestibolo; solo a Liborio, cameriere favorito del Principe, in brache corte e calze di seta, era concesso di star su la