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del Sessanta? Ma tutti i vecchi, qua, gridano: — Meglio prima! Meglio prima! — E lo grido anch’io, sai? io, Caterina Laurentano, vedova di Stefano Auriti!

— Oh, mamma! mamma! — supplicò Roberto, recandosi le mani agli orecchi.

E subito la madre:

— Sì, figlio mio: meglio prima, perchè almeno avevamo la speranza e il conforto d’un avvenire migliore: la speranza che ci sostenne e ci fece vincere in mezzo a tutti i triboli che tu sai e non sai, là, a Torino.... Meglio prima! Credi, credi che non vuole più saperne il popolo, di quegli ideali. Troppo cari li pagò, e ora basta! Va’, va’, ritòrnatene a Roma! Perchè io non voglio, non posso ammettere che tu sia venuto qua in nome del Governo che ci regge. Tu non hai rubato figlio mio; tu non hai prestato man forte a tutte le ingiustizie, alle turpitudini della partigiana, iniqua amministrazione dei nostri comuni infeudati da anni alle consorterie locali, che ne usano in tutti i modi sotto l’egida dei prefetti e dei deputati, tu non hai favorito la prepotenza nefanda delle combriccole che appestano l’aria delle nostre città, come la malaria appesta le nostre campagne! E allora perchè? che titoli hai tu per essere eletto? chi ti sostiene chi ti vuole?

Entrò, in questo punto, Guido Verònica, rassettato e ricomposto. Era salito all’albergo, dopo la rissa, per cambiarsi d’abito, e vi aveva lasciato detto che se qualcuno fosse venuto a cercar di lui, egli sarebbe ritornato alle ore tre del pomeriggio. Subito l’Agrò e il Mattina gli fecero cenno con gli occhi, che Roberto non sapeva nulla. Donna Caterina Auriti s’era levata in piedi, per incitare il figlio a rifiutare l’ajuto del Governo, che del resto non avrebbe avuto alcun