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diceva prima con la mimica degli occhi, delle ciglia, della bocca, e subito dopo, con altra mimica: — “Qua sono: avanti; seguitiamo!„ — E seguitava a parlare, a parlare quasi per commissione; ma in una particolar maniera comicissima e quasi incomprensibile, perchè tutta a voli a salti a precipizii per sottintesi che si riferivano a lontane e bizzarre vicende della sua scompigliata esistenza. E ad ogni salto, a ogni volo, eran subitanee alterazioni di viso e di voce, esclamazioni e ghigni e gesti o di rabbia o di gioja o di minaccia o di commiserazione o di sdegno, che facevan restare intronato, a bocca aperta chi, ignorando quelle vicende, riuscisse per un po’, senza ridere, a prestargli ascolto. Olindo Passalacqua, di fronte a questo intronamento, restava soddisfatto; era per lui la misura dell’effetto; e con le mani aperte a ventaglio si tirava su, su, su, da ogni parte i lunghi e grigi capelli riccioluti per modo che gli nascondessero la radura sul cocuzzolo, e quindi coi due indici tesi si toccava gli aghi incerati dei baffetti ritinti, quasi per mettere il punto a quel gesto abituale o per accertarsi che nella foga del parlare, non gli fossero andati via.

— Una miseria, basterebbe una miseria! — diceva. — Guarda, che sono? due lirette al giorno, che sono? E vorrei dire anche meno! Una miseria.... Sciagurato! Quanti ne butta via con quei farabutti là, che gl’insudiciano il come si chiama?... Sicuro.... lo stemma avito! Porei! E mio suocero per l’Italia rovina l’impresa del Carolino a Palermo.... Tesori! Bastava la semplice Jone.... povero Petrella!... mio cavallo di battaglia.... Là, tutto a catafascio.... per questi porci qua! Senti come strillano? Ed è principe, sissignore.... Vergognosi.... Dico io, due lirette al giorno per un’opera meritoria.... Dio dei cieli,