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E scattò in piedi a gli applausi che in quel punto stesso scoppiavano nella sala a coronar l’eloquente discorso di Cataldo Sclàfani, e anche lui con tutti gli altri, senza volerlo, si recò a stringer la mano all’oratore.
Ma Lino Apes, dal suo posto, col socratico sorriso su le labbra e negli occhi, domandò allora a gran voce:
— Signori miei, e che si conclude?
Pareva tutto finito; assolto il còmpito; e ciascuno si sentiva come sollevato e liberato da un gran peso. Al richiamo dell’Apes tutti si guardarono negli occhi, sorpresi, con pena, e ritornarono mogi mogi ai loro posti.
— La natura, signori miei, — seguitò Lino Apes, appena li vide seduti, — la natura, nella sua eternità, può non concludere, anzi non può concludere, e non conclude mai. L’uomo deve concludere; ha bisogno di concludere; o almeno di credere che abbia concluso qualche cosa; l’uomo! Ebbene, signori miei, che concluderemo noi? Siamo uomini, e venuti qua per questo. Ma vi leggo negli occhi. Voi non avete nessuna voglia di concludere, pur non essendo eterni! Voi avete viaggiato. Molti tra voi seguiteranno il viaggio, fino a Reggio Emilia. Qua a Roma, chi ci viene per la prima volta, ha da veder tante cose; e il tempo stringe. Scusatemi, se parlo così: sapete che io vedo per minuto, e parlo come vedo. Ho poca fiducia nelle conclusioni degli uomini, i quali tutti, a un certo punto, guardandosi dietro, considerando le opere e i giorni loro, scuotono amaramente il capo e riconoscono: — Sì, ci siamo arricchiti, oppure: — Sì, abbiamo fatto questo o quest’altro, ma che abbiamo in fine concluso? Veramente, a dir proprio, non si conclude mai nulla,