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razione la fede e la costanza con cui essi seguivan quest’opera di protezione e di rivendicazione. Che altro voleva lui? Non c’era altro da volere e da fare, per ora. E tanta esaltazione, dunque, e tanto fermento per ottenere ciò che forse nessuno, fuori dell’isola, avrebbe mai creduto che già non ci fosse? che in ogni casolare sparso nelle campagne la lucernetta a olio non mostrasse più ai padri che ritornavano sfranti dal lavoro lo squallido sonno dei figliuoli digiuni e il focolare spento? che fossero posti in grado di divenire e di sentirsi uomini, tanti cui la miseria rendeva peggio che bruti? Ma una buona legge agraria, una lieve riforma dei patti colonici, un lieve miglioramento dei magri salari, la mezzadria a oneste condizioni, come quelle de la Toscana e della Lombardia, come quelle accordate da lui nei suoi possedimenti, sarebbero bastati a soddisfare e a quietare quei miseri, senza tanto fragor di minacce, senza bisogno d’assumere quelle arie d’apostoli, di profeti, di paladini.

Oneste, modeste aspirazioni, quasi evangelicamente disciplinate, da raggiungere grado grado, col tempo e con la chiara coscienza del diritto negato! Poteva egli pascersi di esse, e non pensare ad altro? No no: troppo poco per lui! Se fosse bastato, magari avrebbe dato tutto il suo denaro, e chi sa, forse allora, da povero, avrebbe trovato in quelle aspirazioni un pascolo per l’anima irrequieta. Ma così, no, non potevano bastargli!

All’improvviso, voltandosi a guardar Lino Apes, si sentì sonar dentro, come una feroce irrisione, i versi del Leopardi nella canzone all’Italia:

                    L’armi, qua l’armi, io solo
                    Combatterò, procomberò sol io!