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ci sia per opera vostra, voi v’ingannate! Per me non è altro che febbre passeggera, delirio di incoscienti!

Spiridione Covazza sedette, asciugandosi il sudore dal volto congestionato, mentre dieci, quindici, tutt’insieme, si levavano a domandar la parola.

Parlò Cataldo Sclàfani con voce tonante e col volto atteggiato più di dolore che di sdegno, giacchè non l’accusa per sè stessa poteva offenderlo, ma che uno potesse accusarlo e accusar con lui i suoi compagni.

— Non mi difendo, — disse, — espongo!

Quanti erano i Fasci? Eran presenti i capi dei più importanti, e ciascuno poteva dire all’on. Covazza com’erano contati i soci e quanti fossero. I Fasci, secondo gli ultimi dati del Comitato centrale, erano centosessantatrè fermamente costituiti, trentacinque in via di formazione. C’era dunque davvero un grande esercito di lavoratori in Sicilia, nel quale non si sapeva se ammirar più il fervore, la coscienza o la disciplina, con cui obbediva a un cenno del Comitato centrale. Il capo d’ogni Fascio passava la parola d’ordine ai singoli capi di sezione, e questi a lor volta ai capi dei rioni e delle strade: in un batter d’occhio, sia di giorno, sia di notte, tutti i soci dei Fasci potevano ricevere un avviso. E se domani i lavoratori si fossero mossi, tutta la gente siciliana sarebbe stata travolta come da una corrente di fuoco. Perchè già da lunghi anni covava il fuoco in Sicilia, da che essa cioè, nel mare, si era veduta come una pietra a cui lo stivale d’Italia allungava un calcio in premio di quanto aveva fatto per la così detta unità e indipendenza della patria.

Perchè dire che solo da un anno si parlava di socialismo in Sicilia? Non vi era già, diciott’anni