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glianza. Ma sapete voi che cosa vuol dir giustizia per i contadini e i solfarai siciliani? Vuol dire violenza! sangue, vuol dire! vuol dire strage! Perchè alla giustizia legale, alla giustizia fondata sul diritto e sulla ragione essi non hanno mai creduto, vedendola sempre a loro danno conculcata! Li conosco io, molto meglio di voi, i contadini e i solfarai siciliani.... sì, sì, purtroppo, molto meglio di voi! Voi vi illudete! Voi dite loro collettivismo? ed essi traducono: divisione delle terre, tanto io e tanto tu! Voi dite loro abolizione del salario? ed essi traducono: padroni tutti, fuori le borse, contiamo il denaro, e tanto io tanto tu.

— Non è vero! Non è vero! — gridarono alcuni.

— Lasciatemi finire! esclamò stanco, anelante, il Covazza. — L’altra illusione, che voi vi fate, è sul numero degli iscritti ai vostri Fasci: tremila qua, quattromila là, ottocento, mille, diecimila.... Dove, come li contate? Son ombre vane, signori, filze di nomi e nient’altro! Sì, lo so anch’io: appena si aprono le iscrizioni, come le pecore: una dà l’esempio, tutte le altre dietro! Ma volete sul serio dar peso, fondarvi su questo, ch’è frutto d’un inevitabile contagio psichico? Quanti, sbollito il primo entusiasmo, restano effettivamente ne’ vostri Fasci? Basta ad allontanare il maggior numero la prima richiesta della misera quota settimanale! E quanti Fasci, sorti oggi, non si sciolgono domani? Lasciatevelo dire da uno che non s’inganna e che non vi inganna, signori! So che voi oggi qua volete stabilire se si debba, o no, secondare la tendenza delle moltitudini a un’azione immediata. So che parecchi tra voi sono contrarii, e io li stimo saggi e li approvo. Un movimento serio come voi l’intendete, non è possibile ancora in Sicilia! Se credete che già