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nella famiglia materna uno aveva scontato con la povertà la ribellione generosa; pensò che tra le tante ragioni, per cui nel fervore giovanile aveva voluto far sua Giannetta Montalto, egli aveva posto anche questa, di ridarle cioè almeno una parte di quanto era stato tolto al padre di lei, diseredato. Previde che il cugino avrebbe risposto a quella sua altera e inconsulta affermazione, trascinando ancor più in basso la contesa vergognosa.

E difatti Giulio Auriti, scontorcendo il torbido volto, cozzando tra loro le pugna serrate e poi aprendole innanzi agli occhi sfavillanti di un lustro di scherno, ghignò:

— Ma anche il denaro di tua madre, via!

E Lando, di fronte alla provocazione, ancora una volta non seppe arrestarsi.

— Il denaro di mia madre? — domandò, facendoglisi innanzi a petto.

Giulio Auriti si passò una mano su la fronte ghiaccia di sudore, si nascose gli occhi, s’accasciò dolorosamente:

— Non mi far dire altro!

Lando rimase a guardarlo, o piuttosto, a guardargli dentro; poi disse con cruda freddezza, piano, tra i denti, quasi sillabando:

— E anche ammesso ciò che tu pensi, vuoi che paghi io un debito contratto dal Selmi per lo spasso d’una donna, che potrebbe aver da ridire sul denaro di mia madre? Va’, va’, va’.... per carità, vàttene! — proruppe poi, nascondendosi anche lui gli occhi. — Non posso più guardarti in faccia!

Udì andar via il cugino, stette ancora a lungo con le mani sul volto, per il ribrezzo che sentiva, d’aver toccato il fondo lurido d’una realtà, a cui non si sarebbe mai aspettato di poter discendere,