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A questa domanda categorica, Lando, compreso di profonda pietà, non seppe rispondere con un nuovo reciso rifiuto. Giunse le mani, s’accostò all’Auriti, disse:

— Ma a parte ogni ragione mia propria, Giulio, pensa.... pensa alle relazioni mie, al mio modo di sentire, alle idee per cui combatto.... Io non potrei più domani trovarmi co’ miei compagni in quest’opera d’epurazione che abbiamo intrapresa....

S’accorse subito che non doveva dir così, e tuttavia non seppe arrestarsi, pur notando quasi con sgomento l’alterazione del volto del cugino a ogni parola che egli proferiva, Lo vide alla fine scattare in piedi, scontraffatto.

— Voi epurate, già! — esclamò Giulio Auriti, con un ghigno orribile. — Tu puoi epurare! Siete i puri, vojaltri! Noi, io, Roberto, anche mio padre, se vivesse....

— Giulio!... Giulio! — cercò di richiamarlo Lando, addolorato.

Ma l’Auriti, fuori di sè, seguitò:

— Tutti quanti sporcati, nojaltri. E conierei moneta falsa, sì, e ruberei per aver queste quarantamila lire, che tu hai e ch’io non ho. E perchè non le ho, sono, uno sporcato! Tu le hai, e sei puro! Ma pensa che mia madre, intanto, non volle averle, perchè le parvero sporche!

Lando si drizzò su la persona, e, fermo in mezzo alla stanza, squadrò il cugino con fredda alterezza:

— Il denaro mio, — disse, — tu lo sai, è quello soltanto di mia madre.

Ma anche dopo aver proferite queste parole si pentì subito, e atteggiò il volto di schifo per la crudezza triviale, a cui la discussione trascendeva. Pensò in un attimo che, per un’iniqua disposizione, anche